Il futuro è da prevedere o da immaginare?
Tra scenari, intuizioni e scelte intenzionali, l’immaginazione è uno strumento per orientarsi nel caos e dare forma a futuri possibili. Perché il domani non si aspetta: si crea.

Il futuro non vive nei calcoli delle formule né nei grafici delle previsioni. Si costruisce, giorno dopo giorno, negli spazi aperti della nostra immaginazione.
Quando pensiamo al domani, spesso ci affidiamo a modelli e dati, convinti che il futuro sia già scritto e che basti seguirne le tracce. Eppure, le svolte nascono proprio dove le probabilità incontrano il desiderio. La vera domanda, quindi, non è "Cosa accadrà?", ma "In quale futuro voglio decidere di vivere?".
Immaginare non è un sogno ad occhi aperti: è un atto strategico con cui tracciamo i confini di ciò che può diventare reale.

I futuri sono sempre multipli
Scommettere su una sola direzione significa rinunciare a infinite possibilità. Il futuro non è una linea retta, ma un insieme di strade che si ramificano, influenzate da tecnologia, cambiamenti sociali e crisi ambientali.
Per esplorarlo, esistono tecniche che mescolano immaginazione e metodo:
- il design fiction crea oggetti e scenari di un domani possibile, stimolando riflessioni etiche e sociali;
- il backcasting parte da un futuro desiderato e torna indietro per individuare i passi necessari;
- lo scenario planning intreccia dati e intuizioni, generando racconti che oscillano tra ottimismo audace e realismo rigoroso.
Possiamo inserire persino "shock immaginari", eventi estremi improbabili ma di grande impatto, per testare la solidità di ogni ipotesi e scovarne punti deboli nascosti.
Ma nulla di tutto questo serve se non ci chiediamo: Quale azione concreta posso compiere oggi per cambiare la traiettoria degli eventi? Come spiegò efficacemente Hoang durante un workshop alcuni mesi fa, «pensa all’azione che, se fosse vietata, ti porterebbe dritto in galera»: non per illegalità, ma per rappresentare la forza di un atto intenzionale, di chi sceglie di agire anziché restare spettatore.

Bisogna però orientarsi nel caos
Il pensiero sistemico ci ricorda che ogni cambiamento, piccolo o grande, si propaga come un’onda in una rete complessa di connessioni: una legge, una scoperta scientifica, un’invenzione tecnologica possono trasformare interi equilibri.
Anticipare significa anche captare segnali deboli: lievi mutamenti nei comportamenti, prototipi realmente disruptive, tendenze culturali ancora invisibili ai più.
Utopie e distopie sono invece due poli opposti da tenere sempre in attenta considerazione: la prima attira verso ciò che desideriamo, la seconda ci mette in guardia dai rischi.
Entrambi aiutano a calibrare l'equilibrio tra speranza e prudenza. Il concetto di resilienza ci insegna che irrigidirsi è il modo migliore per spezzarsi: serve invece immaginare percorsi aperti, capaci di piegarsi e adattarsi senza perdere di vista la direzione scelta.

L’immaginazione è una responsabilità
Il futuro non è un luogo già definito. È un mosaico di opportunità che si concretizzano solo quando ci assumiamo la responsabilità di immaginarle. Per costruirlo serve equilibrio: alternare il pensiero analitico all'intuizione creativa, la precisione di una previsione alla fluidità dell’azione.
Liberarsi dalla reattività significa proprio diventare autori e non solo attori della propria storia futura.
Anche in momenti come questi, in cui la complessità e l’instabilità crescono in modo costante, è l’immaginazione consapevole che ci guida verso nuove direzioni, ci orienta verso approdi inaspettati e mantiene vivo in noi il desiderio di evolvere, sapendo chiaramente quale futuro si vuole raggiungere.
Il futuro non si deve solo immaginare: va creato, passo dopo passo, con responsabilità e visione.
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