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Fabbisogni, fraintendimenti e futuri mancati

La raccolta dei bisogni di innovazione è spesso un esercizio strutturato, ma poco trasformativo. Se l’area innovation è troppo visionaria, viene ignorata o percepita come inutile. Se si lascia guidare, si finisce per digitalizzare l’esistente.

Fabbisogni, fraintendimenti e futuri mancati

Nelle aziende, la raccolta dei bisogni di innovazione viene spesso descritta come un processo lineare, strutturato, prevedibile e efficiente: si ascoltano le Business Unit, si analizzano le richieste, si classificano, si prioritizzano rispetto agli obiettivi strategici e, poi, si elaborano risposte efficaci attraverso soluzioni innovative.

Nella realtà, però, questa linearità è solo una tranquillizzante, e forse utile, illusione.

Il bisogno di innovazione non si può raccogliere, ma va intuito e costruito e perché è fragile, ambiguo e spesso contraddittorio. Non si trova perché non si sa cosa cercare, ma si sa dove: tra le tensioni di ciò che si desidera, ciò che si conosce e ciò che si è disposti a mettere in discussione.

Quando questo processo ignora la complessità controintuitiva che lo caratterizza, l'innovazione si auto-confina in un esercizio di diplomatica raccolta, piuttosto che in una vera forza di trasformazione.

Non sai cosa cerchi finché non lo trovi: innovare è incertezza
Pianificare come se tutto fosse noto in partenza. Ma innovare è come cercare un oggetto di valore nella sabbia: non sai cosa cerchi, né dove trovarlo. Ti serve un metodo per esplorare, non una timeline da eseguire.

O troppo avanti, o troppo in indietro

Le aree innovation più mature sono in grado di guardare lontano: captano segnali deboli, esplorano il potenziale delle tecnologie emergenti e immaginano modelli di business inediti, ancora sconosciuti agli esperti e al mercato.

Ma, quando queste intuizioni vengono presentate alle Business Unit, incontrano spesso una forte resistenza. Non perché siano necessariamente sbagliate, ma perché vengono percepite come troppo distanti dalla realtà operativa attuale. Si tende a rifugiarsi dietro le solite frasi come "Nel nostro caso non funzionerebbe", "Non è il momento adatto", o "Non è tra le nostre priorità".

Allo stesso tempo, non si rifiuta l'idea, ma la si confina al di fuori del possibile e l’innovazione finisce per essere vista come astratta, scollegata, quasi irritante o irresponsabile rispetto alle urgenze contingenti, e ciò che dovrebbe anticipare il futuro viene respinto perché troppo lontana dal presente.

Come alternativa a questo scenario, per ridurre complessità, resistenze e rifiuti, molte aree di innovazione preferiscono lasciarsi guidare dalle Business Unit.

Una scelta pratica, ma rischiosa, che spesso si riduce a un elenco di richieste di ottimizzazione piuttosto che di trasformazione. L'obiettivo diventa digitalizzare i processi, automatizzare le attività e migliorare ciò che già esiste.

Il linguaggio dell’innovazione si riduce a quello dell’efficienza, trasformando l’area innovation in un fornitore veloce di soluzioni invece che in un creatore di visione. Così, il futuro rimane fuori dalla porta, sacrificato in nome della urgente presente.

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Ciò che dovrebbe anticipare il futuro viene respinto perché troppo distante dal presente.

Il fraintendimento e una nuova grammatica

Questa tensione non deriva da una progettazione sbagliata, ma da una profonda differenza di mentalità, un fraintendimento.

Le business unit vivono nel presente: sono guidate da obiettivi trimestrali, metriche di performance e urgenze operative. L’area innovazione, invece, vive nel possibile: esplora nuovi orizzonti, immagina discontinuità e lavora nell’incertezza. Sono semplicemente due mondi che parlano lingue diverse.

Quando l’innovazione propone, sembra provocare. Quando il business risponde, sembra frenare. Non bisogna lavorare sull'ostilità (che non c'è), ma sul disallineamento (che invece probabilmente c'è).

Senza un ponte culturale, un ruolo che traduca, medii e ispiri, il dialogo si spezza e i futuri possibili si dissolvono nel caos del presente. E nel presente, il bisogno non è sempre chiaro. Spesso è confuso, latente, non verbalizzato.

Se ci si limita ad ascoltare ciò che viene espresso, si raccoglie solo ciò che è già pensato, è già passato. La vera innovazione nasce da ciò che non si conosce, da ciò che non è ancora nominabile.

Serve una nuova grammatica, capace di dare forma a intuizioni informi, tensioni inesplorate e desideri inarticolati.

L'innovazione deve prima di tutto ispirare, provocare, sfidare: sono questi gli atti di semina essenziali per poter, poi, raccogliere ascoltando. Il bisogno non è una lista di cose da fare, ma un terreno da preparare, curare e da cui cogliere solo i frutti maturi.

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Se ci si limita ad ascoltare ciò che viene detto, si ottiene solo ciò che è già stato pensato, già passato.

L'innovazione è sapere, cultura e fiducia

La raccolta dei fabbisogni, così come viene spesso interpretata, è un’illusione ottica. Si pensa che sia sufficiente ascoltare, catalogare e prioritizzare, ma le grandi scoperte non si fanno con un censimento: si ottengono generando e sfruttando tensioni.

Serve tempo, fiducia, e una cultura che accetti il disallineamento come parte del processo. L'innovazione non deve chiedere il permesso, né limitarsi a soddisfare le richieste degli utenti. Deve creare le condizioni per far nascere domande migliori.

Perché solo quando il business inizia a desiderare ciò che ancora non conosce, l’innovazione smette di essere un servizio e diventa una strategia.

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Quando un'azienda inizia a desiderare ciò che ancora non conosce, l'innovazione smette di essere un servizio e si trasforma in una strategia.

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